In teoria e in pratica | Francesca Serragnoli

Le risposte di Francesca Serragnoli all’inchiesta sulla poesia contemporanea a cura di Raggi γ.

Logo rassegna In teoria e in pratica

1) Un libro di poesia, prima di essere un’opera compiuta, è un progetto in costruzione, in movimento. Va incontro a fasi creative diverse e a momenti del processo editoriale che influiscono o possono influire sul percorso di realizzazione dell’intera opera. 

Qual è stata la tua esperienza in questi termini? Come lavori sulla forma e come sulla costruzione? Chi sono i tuoi maestri da questo punto di vista? Il tuo approccio è cambiato (pensi cambierà) nel tempo? Se dovessi dare dei consigli sulla costruzione interna di un’opera, cosa consiglieresti?

Chiesi la stessa cosa a Mario Luzi quando, dopo 13 anni circa di scrittura, ero indecisa sul senso e la costruzione di un libro (l’ordine etc), la bontà delle mie poesie, l’indecisione sul se andare avanti o smettere. Rispose: un libro di poesie è finito quando tutte le foglie sono cadute. Nessuno può dirti se continuare a scrivere o smettere: puoi smettere di vedere la realtà così come la vedi?
Queste le indicazioni generali che condivido. Ognuno ha una sua personale costruzione. Io, in ogni caso, non do molta importanza alla struttura, non è una narrazione. Salvo non sia un poema come Iliade o Divina Commedia etc. Ma il discorso è impossibile da sintetizzare perché ogni caso ha tempi e modi propri e rinnova, per fortuna, l’impossibilità di parlare di poesia senza la poesia. Cioè esistono solo esempi.

2) Il senso comune tende a vedere nella poesia il genere per eccellenza dell’espressione del sé, della realtà biografica di un io. Credi si possa parlare (o abbia senso parlare), invece, di finzione poetica? Quale ruolo ricopre l’invenzione nella tua scrittura?

Non saprei rispondere perché non mi sono mai posta il problema. Anche qualora dovessi scrivere un poema allegorico, quindi fiction come la Divina Commedia, il problema rimarrebbe sempre vincolato al vero, cioè al rapporto fra la fiction e la realtà (interiore etc). Non credo di avere questa vocazione, non sono mai riuscita a scrivere neppure una fiaba. L’allegoria è un viaggio serio e per intraprenderlo, davvero, occorre, come direbbe Cristina Campo, l’eroe di fiaba.
In ogni caso, nella mia poesia, ho sempre bisogno di un fatto reale, anche piccolissimo.

3) Volendo parlare dei gradi di formazione della tua scrittura: come hai iniziato il tuo percorso di formazione poetica e cosa ha contribuito allo sviluppo della tua voce? Considereresti, a distanza di tempo, (o consideri) il tuo esordio la prima vera presa di parola come autorə? Se sì, in che termini? Pensi che il rapporto con l’esterno, con il pubblico o la “bolla” abbia mai influito sulla tua scrittura? Quanto l’effetto sul pubblico influenza il tuo processo creativo?

Il problema del pubblico e dell’auto affermazione, nel mondo della poesia, è purtroppo un problema drammatico, come se il destino coincidesse con la visibilità del destino.
Il pubblico della poesia non esiste. È fittizio quello dei social e quello dei festival. Ognuno scrive da solo e risponde non al pubblico ma semmai a una vocazione o alla sua coscienza rispetto alla sua vita e al suo talento. L’esito del fare quello per cui si è nati: non si ruba il posto a nessuno, nessuno te lo ruba, si ha come esito gioia e pace interiori come tutti quelli che hanno lavorato e dato se stessi. Il lavoro della poesia è un dare, non un ricevere. Inoltre, il lettore non è il pubblico, ma una persona alla quale capiterà magari per puro miracolo di leggere un testo scritto da te o da me e mai ne verrai a conoscenza. Il riscontro vero della poesia è privato e personale. La cartina al tornasole: la gratitudine. L’unico pubblico è poi solo il maestro che ti riconosce e ti chiama per nome.

4) Cosa pensi delle modalità delle presentazioni di poesia contemporanea e cosa cambieresti?

Non farei degli eventi, ma solo degli incontri. Manterrei il livello artigianale, gli spazi piccoli e raccolti, cioè difenderei il contarsi sulla punta di una mano, la presenza, l’accoglienza di ogni singolarità. Ringrazio che, nelle presentazioni di poesia, questo è ancora possibile e permette di conoscersi e di ascoltare e non di essere ascoltati, di stare sullo stesso piano e di mangiare insieme. Spero sempre che questo livello possa continuare. Terribile la poesia pronunciata da un palco tipo Sanremo, senza la possibilità di stringere la mano o incontrare gli occhi di chi si è commosso (anche questo è un dono enorme). La poesia è un servizio (non al proprio ego). Perché venga bene un incontro ci devono essere almeno 3-4 persone che desiderano incontrarsi e che siano felici di farlo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *