In teoria e in pratica | Marilena Renda

Le risposte di Marilena Renda all’inchiesta sulla poesia contemporanea a cura di Raggi γ.

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1) Un libro di poesia, prima di essere un’opera compiuta, è un progetto in costruzione, in movimento. Va incontro a fasi creative diverse e a momenti del processo editoriale che influiscono o possono influire sul percorso di realizzazione dell’intera opera. 

Qual è stata la tua esperienza in questi termini? Come lavori sulla forma e come sulla costruzione? Chi sono i tuoi maestri da questo punto di vista? Il tuo approccio è cambiato (pensi cambierà) nel tempo? Se dovessi dare dei consigli sulla costruzione interna di un’opera, cosa consiglieresti?

Lavoro da sempre in questo modo: leggo molto a proposito dell’argomento che mi sta a cuore in quel momento, raccolgo materiali, cerco di esaurire l’argomento, e contemporaneamente scrivo usando questi materiali come testi a fronte, estrapolo singole parole, mi concentro sui concetti che mi interessano, e a un certo punto sento che la spinta propulsiva si è esaurita e mi fermo. A quel punto di solito il libro è finito. Il processo complessivo è abbastanza veloce, di solito non dura più di sei mesi. Dopo che un libro è finito posso stare ferma anche per anni, ma in quel caso cerco di dedicarmi ad altre forme di scrittura, per esempio le recensioni, o piccoli racconti. Negli anni lo schema è sempre stato questo. Il fatto di avere dei materiali di riferimento mi aiuta a tenere a bada l’ansia di non saper lavorare in maniera abbastanza creativa; non sono capace, di norma, di scrivere “a mano libera”, ma anche questo, come altre cose, sta cambiando. Sto sperimentando con i nuovi testi che sto scrivendo una modalità meno legata ai testi degli altri. Credo che questo dipenda, anche, da una maggiore fiducia nelle possibilità del linguaggio.

2) Il senso comune tende a vedere nella poesia il genere per eccellenza dell’espressione del sé, della realtà biografica di un io. Credi si possa parlare (o abbia senso parlare), invece, di finzione poetica? Quale ruolo ricopre l’invenzione nella tua scrittura?

Sono partita, con il mio primo libro, dal desiderio di dare voce a una comunità, all’esperienza di quella comunità dopo la catastrofe. Sembra essenziale allora nascondersi, far finta di non esistere. Negli ultimi anni l’io è tornato in scena: sembra che abbia delle cose da dire che finora non aveva avuto il coraggio o l’incoscienza di dire. Ma sulla questione condivido quello che ha detto di recente Antonella Anedda a una presentazione dello Spazio, e che dicono da molto le neuroscienze, ovvero che l’io è un personaggio fittizio sul palcoscenico della scrittura, proprio come le persone che vediamo nei sogni. Quello dell’io è un falso problema, quando dico io indico una proiezione di parti di me che io vorrei/non vorrei fossero il mio io.

3) Volendo parlare dei gradi di formazione della tua scrittura: come hai iniziato il tuo percorso di formazione poetica e cosa ha contribuito allo sviluppo della tua voce? Considereresti, a distanza di tempo, (o consideri) il tuo esordio la prima vera presa di parola come autorə? Se sì, in che termini? Pensi che il rapporto con l’esterno, con il pubblico o la “bolla” abbia mai influito sulla tua scrittura? Quanto l’effetto sul pubblico influenza il tuo processo creativo?

Ho letto dei libri, come tutti. Amelia Rosselli è stata la mia scoperta della poesia, e per un po’ ho cercato di imitarla, ma la tua vera voce secondo me nasce nel momento in cui dimentichi le maestre, i maestri, gli amici, i sodali e i genitori e fai quello che ti va di fare senza preoccuparti di niente e nessuno. Quando scrivo qualcosa di nuovo c’è sempre quel momento in cui penso: “Oddio, questa cosa cos’è?”. Il nuovo non lo riconosci, e non sai come reagirà chi lo leggerà, ma secondo me ogni libro deve essere diverso dal precedente, deve testimoniare di un percorso, di libertà che ci siamo presi con il linguaggio e con l’esperienza. Scriviamo per conoscere meglio noi stessi e il mondo, ma se queste libertà non ce le prendiamo non impareremo un bel niente, saremo pappagalli ammaestrati che ripetono cose dette da altri per non deludere i nostri potenziali lettori o sodali. Quando scrivo io non ho lettori: ho solo un ostacolo da superare, e attorno a me non c’è nessuno. Della mia bolla non mi importa niente, solo quando ho finito mi chiedo: “Piacerà a qualcuno?”. Ma a quel punto è tardi per tornare indietro.

4) Cosa pensi delle modalità delle presentazioni di poesia contemporanea e cosa cambieresti?

Pensare all’ascolto. Creare le condizioni per l’ascolto. Non creare festival/eventi/presentazioni che non manifestino una reale necessità di ascolto. Non organizzare maratone di poesia. Non andare alle maratone di poesia dove nessuno ascolta nessuno. Passare più tempo a casa. Fare meno cose. Oppure farne di più, ma solo cose che ci sembra che abbiano la qualità della necessità.

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