I chiodi sono caduti: tre poesie di Yiannis Stigas

Introduzione e traduzioni dal greco moderno a cura di Vassilina Avramidi.

I chiodi sono caduti, e cioè: nulla più garantisce le vecchie certezze dei greci (quel «Dio» e quel «sole» che troviamo all’inizio di «Matematica semplice»). L’unico rimedio è un’incessante escavazione linguistica, la ricerca ossessiva di una parola poetica che sappia ancora dire l’esistenza. Poesia come scavo, dunque, quella di Yiannis Stigas. Nato ad Atene nel 1977, di professione medico neurologo, è tra le voci più affermate e interessanti nel panorama della poesia greca contemporanea. Già dal primo libro, I aliteia tou aimatos (La gentaglia del sangue, 2004), la sua scrittura si presenta come politica, engagée. Vi si denunciano i mali e la superficialità di tutta una generazione, tanto da far guadagnare a chi scrive l’epiteto di «pericoloso»1. Una scrittura pericolosa e tagliente, come la «lama» in «Esercizi di respirazione», che predilige versi piuttosto brevi e condensati, senza rima o struttura metrica precisa, scanditi però dal ritmo del respiro e dal confronto con la tradizione. Le parole di chi scrive intrattengono infatti un fitto dialogo intertestuale con quelle dei suoi modelli: Majakovskij, Hernández, Celan, Sahtouris, Aggelaki-Rouk sono gli interlocutori privilegiati dell’Isopalo Trauma (Trauma Pareggiato, 2009). Nel più recente Vlepo ton kyvo tou Roubik fagomeno (Vedo che hanno morso il cubo di Rubik, 2014), vengono invece evocate figure mitiche, antiche e moderne: il Ciclope, il Minotauro, la Sirena e Medusa. Ciò che rimane costante all’interno della produzione poetica di Stigas, nel solco di un poeta-scavatore a lui molto caro come Paul Celan (che diventa anche personaggio in «Mio fratello Paolo, lo scavatore del Senna»), è una certa tendenza a misurarsi (e spesso a scontrarsi) con i limiti del linguaggio, ed una certa testardaggine: quella di provare e riprovare.

Negli ultimi anni, la poesia di Stigas ha ricevuto una crescente attenzione internazionale ed è stata tradotta in varie lingue (bulgaro, francese, inglese, tedesco). Alcuni suoi testi sono stati inseriti in antologie di poesia greca contemporanea, tra cui Metra Litotitas – Austerity Measures, curata da Karen van Dyck e pubblicata da Penguin nel 2016. Le tre poesie qui presentate, tratte da tre sillogi differenti, compaiono insieme proprio in Austerity Measures.

«Matematica semplice», I aliteia tou aimatos (La gentaglia del sangue), ed. Gavriilidis, 2004.
«Esercizi di respirazione», I Orasi th’archisei ksana (La vista inizierà ancora), ed. Kedros 2006.
«Mio fratello Paolo, lo scavatore della Senna», Isopalo Trauma (Trauma Pareggiato), ed. Kedros, 2009.


Απλά μαθηματικά

Φτάνοντας στο τέταρτο χιλιόμετρο της σιωπής,
μου έπεσαν τα καρφιά για Θεό και για ήλιο.
Έκτοτε, περιφέρομαι με το μεγάλο μηδέν υπό μάλης.
Αρχικά, ήταν ένας κοινός υπνόσακος
– ξέρετε, μπαίνεις, δηλαδή ονειρεύεσαι.
Τώρα, είναι ένα πελώριο οικοτροφείο
για τους ψυχικά άφλεκτους.

Αφού έγιναν όλα αυτά με το μηδέν
φανταστείτε τι θα μπορούσε να συμβεί με το Ένα.

Matematica semplice

Arrivato al quarto chilometro del silenzio,
mi caddero i chiodi per Dio e per il sole.
Da allora, vago con un grande zero sotto l’ascella.
All’inizio, era un comune sacco a pelo
– sapete, entri, cioè sogni.
Adesso, è un enorme collegio
per i mentalmente ininfiammabili.

Se tutto ciò è successo con lo zero
immaginate cosa potrebbe succedere con l’Uno.

Ασκήσεις αναπνοής

Γύρισα ανάποδα την ψυχή μου
κι είδα πώς μεγαλώνουν οι πέτρες

(με λίγο φως)
σκληραίνει η τύχη και γίνεται

ν’ ανεβαίνουν ψηλά τα πουλιά
κι έπειτα
τα ξεκουρδίζει ο ήλιος

Προσπάθησε ν’ αναπνέεις κανονικά
μέσα γαλάζιο – έξω γαλάζιο
σε μια πνοή ξανασυμβαίνουν όλα
Οι πέτρες έλεγα
– τα πάντα δίνονται σαν ξυράφι
κι άμα τα θέλεις πιο βαθιά
μέσα γαλάζιο – έξω γαλάζιο
άμα τα θέλεις πιο βαθιά

καλό κουράγιο

Αυτός ο κόσμος
είναι η πιο σπλαχνική μορφή του ποτέ
Ποτέ ο ιδρώτας
τόσο πολύ με το αίμα

Esercizi di respirazione

Ho rovesciato la mia anima
e ho visto come crescono le pietre

(con poca luce)
si indurisce la fortuna e accade

che salgano più in alto gli uccelli
e poi
il sole ne allenta le corde

Prova a respirare normalmente
azzurro dentro – azzurro fuori
in un respiro risuccede tutto
Le pietre, dicevo
– tutto si dà come una lama
e se lo vuoi più dentro
azzurro dentro – azzurro fuori
se lo vuoi più dentro

buona fortuna

Questo mondo
è la forma più pietosa del mai
Mai il sudore
così tanto col sangue

Ο αδερφός μου ο Παύλος ο σκαφτιάς του Σηκουάνα

«O du gräbst und ich grab
und ich grab mich dir zu»
Paul Celan

Έτσι όπως έσκαβε
μια μέρα έφτασε
στο χιονισμένο στόμα της μητέρας του
στις μακριές πλεξούδες των προγόνων του
μια μέρα πέρασε
τις ρίζες του νερού

τα πέτρινα

τα πύρινα

τα πάνδεινα που πέρασε

έκτοτε του ’μεινε
ένα καμένο σύννεφο στο βλέμμα
μια δυσκολία με τον άνεμο

Jiskor
Kaddisch

ένα τρελό λαχάνιασμα

«το βάθος» έλεγε
«το βάθος σε σημείο εξάντλησης
και γλώσσα είναι
και πατρίδα μου»

Και τότε βγήκε σ’ ένα μέρος
γεμάτο δέντρα και ποτάμια και πουλιά

και έμεινε εκστατικός

μέχρι που ακούστηκε στρατιωτικό παράγγελμα:
«να στοιχηθούν ολοταχώς
κάλεσμα για συσσίτιο»

και φύγανε τα δέντρα
    τα ποτάμια
τα πουλιά

Μονάχα ο Σηκουάνας έμεινε
να τον κοιτά στα μάτια.

Mio fratello Paolo, lo scavatore della Senna

«O du gräbst und ich grab
und ich grab mich dir zu»
Paul Celan

Mentre scavava
un giorno giunse
alla bocca innevata di sua madre
alle trecce lunghe dei suoi antenati
un giorno attraversò
le radici dell’acqua

taglienti

ardenti

dolorosi avvenimenti attraversò

da allora gli rimase
una nuvola bruciata nello sguardo
una difficoltà col vento

Jiskor
Kaddisch

un fiatone folle

«la profondità» diceva
«la profondità fino allo sfinimento
è la mia lingua
è la mia patria».

E poi uscì in un luogo
pieno d’alberi e fiumi e uccelli

e rimase estasiato

finché non si udì l’ordine militare:
«allineatevi rapidamente,
chiamata per la mensa»

e se ne andarono gli alberi
    i fiumi
gli uccelli

Solo la Senna rimase
a guardarlo negli occhi.

Memorie, apparizioni, aritmie: tre poesie di Yara Nakahanda Monteiro

Introduzione e traduzioni dal portoghese a cura di Nicola Biasio.

“Sono pro-pronipote della schiavitù, pronipote del meticciato, nipote dell’indipendenza e figlia della diaspora.”

È attraverso l’incontro di piani temporali, genealogie di oppressione e memorie familiari che Yara Nakahanda Monteiro cerca di definire la sua identità. Nata nel 1979 in Angola, nella provincia di Huambo, a due anni si trasferisce con la famiglia in Portogallo. Yara cresce in una casa in cui i vecchi documenti dell’ufficio del nonno, gli album di famiglia ricolmi di fotografie e le cartine geografiche del continente africano evocano costantemente i fantasmi del colonialismo portoghese in Angola, conclusosi nel 1974 a seguito della Rivoluzione dei garofani. In bilico tra le memorie africane di seconda mano della famiglia e la vita in un Portogallo ostile ai figli degli immigrati dalle ex colonie, Yara deicide di utilizzare la letteratura come strumento di interpretazione del presente. Dopo il suo primo romanzo (‘Sta tipa spacca!, nella traduzione italiana pubblicata nel 2021 da Edizioni dell’Urogallo), l’autrice debutta con il suo primo libro di poesia, Memórias Aparições Arritmias (Penguin Livros, 2021), che riunisce componimenti già precedentemente pubblicati in diverse riviste brasiliane, portoghesi e del continente africano. La critica ha definito Memórias Aparições Arritmias come una raccolta di poesia decoloniale ed ecofemminista. Unendo l’oralità della tradizione angolana e i costumi poetici occidentali, la poesia di Yara Nakahanda Monteiro trasporta il lettore in altri tempi e spazi: muovendosi tra memorie intergenerazionali e vicende autobiografiche, l’autrice ricorda simultaneamente l’’infanzia trascorsa nella periferia di Lisbona e le storie di vita in Angola raccontate da sua nonna. E da queste memorie Yara evoca fantasmi che infestano il nostro presente: la diaspora, l’esilio, le condizioni di vita delle comunità afrodiscendenti, la violenza contro le donne, gli spettri del colonialismo reincarnati nel razzismo strutturale e quotidiano, la questione della nazionalità, la ricerca identitaria attraverso l’arte. Europea o africana? “Sono solita dire” – afferma Yara – “che le mie radici sono africane, angolane, ma le mie ali sono europee, sono portoghesi”. Nutrite dalle ombre del passato, le sue parole si trasformano in evocazioni, apparizioni, palpitazioni, aritmie cardiache, macchie confuse, ricordi vaghi, inquietudini scarabocchiate in un quaderno interminabile in cui i confini tra passato e presente, tra Europa e Africa, tra sogno e realtà sfumano, diventando altro: poesia.


Descarnar memórias

Esboço na retina de Mnemosine tempo antigo a maturar:
sílabas recortadas e vozes anuladas;
   [oiço minha avó velha]
palavras defuntas
ortografadas na calçada coberta por poeira,
terra descontinuada
   [leio meu avô]
reflexos no cacimbo, dia de festa,
bestas engravatadas, crianças, mulheres descalças;
   [vejo anónimos]
e sonhos trémulos,
trespassados pelo exílio apartado do amor colorido
dos gladíolos em flor,
e sua glória.
   [ameigo seus ecos retalhados]
O tempo sagaz empilha as folhas rubras caídas das acácias.
Corre em mim o mesmo sangue.
Trajo a reverência aos antepassados: panos e chifre de boi.

Primeiro, no tempo nascente, percorro as casas decompostas
deixadas para trás.
Procuro o escalpelo, talhado
com o sacrifício das nossas lágrimas.

Depois,
no chão estendo
o manto negro ruborizado.
Arranjo memórias em película aderente.
Retiro-lhes a pele.

Chegam os espectros ressoando ladainhas,
benzendo-me com seus risos,
batendo com os pés escuros
na dureza da nova terra.

Juntos descarnam-se as memórias
enquanto das
veias e artérias jorram
repuxos nutridos
a óleo de palma.

No piscar de olhos da titânide, bebo água do rio Lete.
Há esquecimentos que vêm por bem.

Scarnificare memorie

Abbozzo nella retina di Mnemosine un tempo antico da elaborare:
sillabe troncate e voci annullate;
   [sento la mia vecchia nonna]
parole defunte
sillabate sul selciato coperto di polvere,
terra discontinua;
   [leggo mio nonno]
riflessi nel cacimbo, giorno festivo,
bestie incravattate, bambini, donne scalze;
   [vedo anonimi]
e sogni tremolanti,
trapassati dall’esilio lontano dell’amore colorato
dai gladioli in fiore,
e dalla sua gloria.
   [accarezzo i suoi echi frammentati]
Sagace, il tempo impila le foglie rosse cadute dalle acacie.
Scorre in me lo stesso sangue.
Vesto il rispetto dei miei antenati: panni e corna di bue.

Prima, al levar del tempo, percorro le case decomposte
lasciate indietro.
Cerco il bisturi, forgiato
col sacrificio delle nostre lacrime.

Poi,
a terra stendo
uno scuro manto arrossato.
Sistemo memorie su pellicole aderenti.
Le spello.

Arrivano gli spettri riecheggiando litanie,
benedicendomi con le loro risate,
battendo i loro piedi scuri
sulla dura e nuova terra.

Insieme scarnifichiamo memorie
mentre dalle
vene e arterie sgorgano
getti nutriti
dall’olio di palma.

Allo strizzar d’occhio della titanide, bevo acqua dal fiume Lete.
Dimenticare, alle volte, fa bene.

Outrora

Lembras?
Quando eras bicho do céu,
bicho da água, bicho da mata, bicho do âmago?
Lembras
a inteireza da nossa casa, do tempo antigo
onde aflorava a vida?
Nossos corpos feitos de terra,
nossos gestos livres, coloridos, irrigados
com a saliva do torrão.
Gestos ainda por analisar, estruturar,
matematizar…
Junto dos teus, que são os nossos,
pulsando imersos
fazendo mundo, criando cosmos?
Nós, os do começo.

Lembras?

No meu colo
mamaste
a seiva verde dos meus potes.
Sugaste
o tanto de caudal vivo transmutado nos casulos.
Farejaste
por entre as colinas
pujança dos campos floridos, matas adensadas.
Tateaste
os caminhos divinos abertos pelos rios neste vasto corpo.
Abriste
rachas, feridas,
ávido de mais, sempre mais,
criatura com fome.
Nem adeus te pude fazer.
Hoje chegas e matas-me.

Lembras?

Não lembras.
… e fui eu quem te pariu.

Un tempo

Ricordi?
Quando eri animale del cielo,
animale d’acqua, animale della foresta, animale del nocciolo?
Ricordi
l’integrità della nostra casa, del tempo antico
dove affiorava la vita?
I nostri corpi fatti di terra,
i nostri gesti liberi, colorati, irrigati
con la saliva del suolo.
Gesti ancora da analizzare, strutturare,
matematizzare…
Gesti tuoi, che diventano nostri,
pulsando sommersi,
tessendo mondi, creando cosmi?
Noi, quelli dei primordi.

Ricordi?

Tra le mie braccia
hai poppato
la verde linfa delle mie riserve.
Hai succhiato
un intero torrente vivo trasformato in bozzoli.
Hai fiutato
tra le colline
il vigore dei campi fioriti, foreste addensate.
Hai palpato
i cammini divini aperti dai fiumi di questo vasto corpo.
Hai aperto
fessure, ferite,
sempre e sempre più avido,
creatura affamata.
Non ho potuto neanche dirti addio.
Oggi arrivi e mi uccidi.

Ricordi?

Non ricordi.
… e chi ti ha partorita sono io.

A heresia de Eva

Assobiam ditos.
Ditos do rio íntimo
adensado.
É este o sangue que me torna
mulher?

Se me despir
e dispo,
se me despedir
e despeço,
de tudo               de todos
e se empurrar
derrubo
a porta do «paraíso».

Ditos virgens.
No ventre levo casa, vila,
cidade, mundo, tudo,
todos                 o Universo.
E nada levo.

Eu, a criadora!
Invoco a fêmea,
a criatura.

Aqueduto de águas,
boca solta,
em verão húmido e ensolarado.
Ditos da mulher,
mitos e narrativas.
Ditos não ditos
sobre os deltas
vivos, infindáveis.
Assim,
semeando óvulos
pelo
espaço,
pelas
órbitas onde germinam
outras fêmeas e outros ventres,
nascentes intocadas.
Rias que se adensam
caindo como chuva na epiderme do Sol,
benzendo o portal de luz.

O astro descamba
no leito onde crescem as raízes.
Faz-se chama.
Na vala noturna irrompe a lua,
febril e circular.

Pelos túneis do meu corpo térreo
recolho a límpida seiva
em minhas garras de madrepérola.
Bebe-a o meu jardim.

Não existe nada que «devesse ser».
É isso que não sou:
a Terra imitando o Sol.

Ditos meus
não cedem ao rumor do desespero
do passar do tempo.

Ditos não ditos.
Ditos bíblicos
Ditos escritos na névoa das constelações.

L’eresia di Eva

Fischiano detti.
Detti del fiume intimo
addensato.
È questo il sangue che mi rende
donna?

Se mi spoglio
e mi spoglio,
se mi congedo
e mi congedo,
da tutto               da tutti
e se spingo
abbatto
la porta del «paradiso».

Detti vergini.
Nel ventre porto casa, paese,
città, mondo, tutto,
tutti               l’Universo.
E niente mi resta.

Io, la creatrice!
Invoco la femmina,
la creatura.

Acquedotto di acque,
bocca sciolta,
nell’estate umida e soleggiata.
Detti di donna,
miti e narrazioni.
Detti non detti
sui delta
vivi, interminabili.
Così,
seminando ovuli
attraverso
spazio,
attraverso
orbite dove germinano
altre femmine e altri ventri,
sorgenti intoccate.
Foci che si addensano
cadendo come pioggia sull’epidermide del Sole,
benedicendo il portale di luce.

L’astro s’inclina
sul letto in cui crescono le radici.
Diventa fiamma.
Nella fossa notturna irrompe la luna,
febbrile e circolare.

Attraverso i tunnel del mio corpo terroso
raccolgo la limpida linfa
nei miei artigli di madreperla.
La beve il mio giardino.

Non esiste nulla che «dovrebbe essere».
È questo che non sono:
la Terra imitando il Sole.

Detti miei
non cedete al rumore di disperazione
del passare del tempo.

Detti non detti.
Detti biblici.
Detti scritti nella nebbia delle costellazioni.

Copertina di Memorias, Aparicoes, Arritmias di Yara Nakahanda Monteiro
Yara Nakahanda Monteiro, Memórias Aparições Arritmias